Prendere la forma del Pane – 25 Dicembre 2003

PRENDERE LA FORMA DEL PANE
Lettera (II) sulla formazione permanente

Richiamandomi all’esortazione apostolica Pastores dabo vobis, l’11 ottobre 2002 consegnai a tutti i presbiteri, diocesani e consacrati, della nostra Diocesi, come pure ai nostri giovani seminaristi una mia Lettera sul bisogno d’intraprendere e proseguire l’impegno di una formazione permanente. Dalla stessa esortazione di Giovanni Paolo II trassi il titolo Custodire il mistero con vigile amore. Per la stesura di quel testo mi giovarono molto alcune riflessioni del padre Amedeo Cencini, in particolare la sua avvertenza ch’è la vita stessa che forma e il richiamo all’importanza della docibilitas, ossia la personale e radicale disponibilità a lasciarsi formare in ogni giorno della vita. Infatti, ‘nessuna fase della vita può considerarsi tanto sicura e tanto fervorosa da escludere l’opportunità di specifiche attenzioni per garantire la perseveranza nella fedeltà, così come non esiste età che possa vedere esaurita la maturazione della persona’ (Vita consecrata, n. 69).

Perseverare nella vocazione

Nel contesto della formazione permanente il Papa parla di  perseveranza. Anche io, dunque, inizio col soffermarmi su questo tema,  giacché, in prospettiva vocazionale, potremmo senz’altro affermare che la perseveranza è quella virtù e quella grazia speciale da cui deriva al cristiano la possibilità di restare fedele alla propria vocazione. È una virtù, la perseveranza. Come tale essa è sempre frutto di una paideia, vale a dire di un’educazione e anche di una disciplina interiori, di un’allenamento dell’intera persona, in tutte le sue dimensioni, da quella corporea a quella spirituale, non da ultimo mediante il ricorso ai mezzi comprovati dall’esperienza spirituale che sono i sacramenti, l’ascesi e la preghiera. Molti, infatti, come ammoniva San Francesco di Sales, ‘hanno ricevuto da Dio la vocazione, ma poi per loro difetto si sono resi indegni di ottenere la perseveranza’. Sì, perché la perseveranza non è semplice frutto dell’impegno umano. Nella prospettiva cristiana essa è pure una grazia, cioè un dono di Dio. Per perseverare c’è sempre bisogno del suo aiuto. Perseverante può esserlo solo chi a Dio lo domanda con insistenza, senza mai stancarsi (cfr. Mt 21,22). Lasciato alle proprie risorse nessuno di noi progredirebbe di molto nel cammino del discepolato. Nessuno di noi potrebbe persistere nella propria vocazione senza l’aiuto di Dio, umilmente cercato e costantemente invocato.