Don Tonino Bello formatore di vocazioni

Conferenza in occasione dei 60 anni dell’Ordinazione sacerdotale di don Tonino Bello (8 dicembre 1957) - Bologna Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna
19-05-2018

La visita di Francesco alla tomba del Servo di Dio mons. A. Bello – nella terra «dove Antonio nacque Tonino e divenne don Tonino», disse il Papa ad Alessano il 20 aprile scorso – e alla Chiesa di cui fu pastore dal 1982 al 1993 ha avuto, specialmente per quei luoghi, una sorta di carattere «giubilare»[1]: si ricordava, infatti il 25° anniversario della sua morte. Mons. Bello li amava entrambi, quei luoghi, e li vedeva come uniti da una sorta di «arcobaleno Mariano». Lo disse a conclusione dell’omelia nella Messa per l’inizio del ministero episcopale nella Cattedrale di Molfetta: un arcobaleno che «aprendosi da Molfetta fino a Leuca, ricopre sotto la sua curva le genti che mi sono più care».[2]

Quando, in occasione di un mio rientro nel Salento, mi recai a visitarlo nella sua casa paterna, dov’era ammalato ed era avviato, oramai consapevole e sereno, sul tratto finale della sua vita terrena, mi disse: «A giorni tornerò a Molfetta, perché è giusto che un Vescovo muoia nella sua Chiesa».

Vi era giunto il 21 novembre 1982, domenica in cui si celebrava la Giornata del Migrante. Colse perciò la coincidenza dicendo: «proprio nel giorno in cui la Chiesa italiana celebra il ricordo dell’emigrante, il Signore incarica me, emigrato da una Chiesa sorella, di raccontarvi non la malinconia dell’esule che lascia la sua casa, ma la gioia del viandante che avanza verso la terra dei suoi sogni; non le sterili nostalgie del passato, pur così bello, ma le ebbrezze del futuro carico di promesse».[3] Volle, però, che le sue spoglie mortali fossero deposte nella terra natale.