Educare al desiderio, anche con la rinuncia. Omelia solennità di San Pancrazio, patrono della Città e Diocesi di Albano, 12 maggio 2016

12-05-2016
1. L’annuale ricorrenza del santo Patrono ritrova la comunità diocesana e la comunità cittadina unite per un momento di riflessione e anche di festa. Dell’una e dell’altra sentiamo tutti il bisogno, in una fase della vita comune che ci vede ancora affannati e angustiati per una crisi di cui tutti ci auguriamo non lontana la soluzione. Della prima, ossia della riflessione, abbiamo bisogno per non piangerci inutilmente addosso e comprendere almeno le ragioni e le cause delle attuali congiunture facendone un ammaestramento di vita. Anche della festa abbiamo bisogno. Di essa il Papa ha detto una volta che è «invenzione di Dio» ed è un grande dono, perché ci aiuta a capire l’importanza di ciò che non si compra e non si vende; importante, ancor di più se ci rendiamo conto «che l’ideologia del profitto e del consumo vuole mangiarsi anche la festa: anch’essa a volte viene ridotta a un “affare”, a un modo per fare soldi e per spenderli». Ma, domanda Francesco: «è per questo che lavoriamo? L’ingordigia del consumare, che comporta lo spreco, è un brutto virus che, tra l’altro, ci fa ritrovare alla fine più stanchi di prima» (Udienza del 12 agosto 2015). Impegnarci, dunque, nella riflessione e nella festa ci fa bene.
Nella serenità di questo clima rivolgo il mio deferente saluto alle Autorità presenti: quelle civili, a cominciare dal Sig. Sindaco della Città di Albano Laziale e delle altre vicine, coi rappresentanti della Città metropolitana di Roma Capitale e della Regione Lazio; un cordiale pensiero lo rivolgo al Sig. Direttore delle Ville Pontificie e pure alle Autorità militari e di polizia, cui sono riconoscente per il meritevole servizio che svolgono sul nostro territorio. A tutti il saluto del Vescovo, anche a nome del Clero e della Chiesa di Albano.
Per sostenere la riflessione, permettete qualche considerazione a partire dalla vicenda del martire Pancrazio cui, probabilmente dal VI secolo, è dedicata la nostra Cattedrale; dall’epoca, cioè, in cui la devozione popolare verso il nostro Santo ebbe una vera e propria esplosione. Perfino in Gallia, Gregorio di Tours narrava dei miracoli che si verificavano presso la tomba di san Pancrazio, nella basilica romana a lui dedicata e delle pene che lì colpivano gli spergiuri e quanti erano venuti meno alla parola data (cfr Libri miraculorum I, 39: PL 71, 740-741). Potremmo chiederci: cosa ha provocato un diffondersi così rapido del suo culto?
 
2. Del martirio di san Pancrazio, si narra che Diocleziano era stupito e anche indispettito per la fortezza d’animo di questo quattordicenne, che resisteva alle sue adulazioni e opponeva alle sue allettanti proposte la limpida fede in Cristo. Le cose sono andate davvero così? La redazione della storia è troppo tardiva per rispondere positivamente. È più facile pensare che la meraviglia attribuita all’imperatore, sia stata in realtà quella dei fedeli, che s’interrogavano: come ha potuto, un ragazzo, essere così forte? E noi, oggi, potremmo chiederci: sono «forti» i nostri ragazzi, i nostri giovani? Ecco una domanda meritevole di riflessione!
Non sono uno specialista sull’argomento e, come la gran parte di quanti siamo qui, ho bisogno di essere illuminato e guidato nell’esame della questione. Sento dire, però, che la generazione di giovani coi quali noi, i cosiddetti «adulti», ci troviamo a vivere, sia tutta più o meno fragile. Uno psichiatra abbastanza noto li ha rassomigliati a «quei meravigliosi vetri di Murano, straordinari, perfetti – ben vestiti, molto curati – che, tuttavia, hanno dei punti di minore resistenza e basta toccarli perché vadano in frantumi, e sembra impossibile ricostruirli» (V. Andreoli).
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