Essere sacerdoti eucaristici. Omelia per l’Ordinazione al Sacro Ordine del Presbiterato dei Diaconi Gabriele D’Annibale, Salvatore Surbera e Martino Swiatek, 21 giugno 2014

21-06-2014

1. L'Eucaristia è il centro e il culmine della vita della Chiesa, la sorgente sempre viva che la rende feconda. Questa certezza non ci deve mai abbandonare. Oggi, celebrando la solennità del Corpo e Sangue del Signore, vogliamo ancora più dolcemente gustarla perché l'Eucaristia è pure il sacramento di una speciale «presenza» del Signore Gesù. Una presenza che vuole «rimanere», che rimane. Gesù c'è: è accanto a noi, è con noi; è nostro compagno di strada; non ci abbandona mai. Il senso della processione eucaristica, che distingue questa festa dalle altre, è proprio nel «camminare insieme» di Gesù e con Gesù». Noi portiamo fra le mani il pane consacrato, segno della presenza viva di Gesù in mezzo a noi; ma è Lui che ci tiene per mano; il fratello maggiore che ci accompagna verso la casa del Padre.

Con nel cuore la gioia di questa festa eucaristica, poco fa abbiamo scelto tre nostri fratelli per l'ordine del presbiterato. Il ministero per il quale stanno per essere ordinati, benché unico, è certamente complesso: «saranno predicatori del Vangelo, pastori del popolo di Dio, e presiederanno le azioni di culto, specialmente nella celebrazione del sacrificio del Signore», dice l'Omelia rituale (Rito dell'ordinazione dei presbiteri, n. 136). Nessuno di questi tre compiti deve essere trascurato, perché l'uno rimanda all'altro e tutti insieme sono lo spazio vitale per la santificazione di un sacerdote. «I presbiteri, infatti, sono ordinati alla perfezione della vita in forza delle stesse sacre azioni che svolgono quotidianamente, come anche di tutto il loro ministero, che esercitano in stretta unione con il vescovo e tra di loro», insegna il Concilio (Presbyterorum ordinis, n. 12). Riflettiamo qualche momento su queste parole; riflettete soprattutto voi, carissimi, che state per essere ordinati presbiteri.

 

2. Sappiate, anzitutto, che darete senso e compimento, valore e pienezza alla vostra vita di sacerdoti (ad vitae perfectionem) se «farete» i preti! È un po' come per quel «fare i cristiani», di cui s'è parlato nel nostro Convegno diocesano l'altra settimana. «Il cristianesimo non è il luogo delle parole che si dicono, ma delle cose che si fanno», dicevo in quell'occasione. Quello che sottolineavo lì, varrà anche per voi: il criterio con cui si è giudicati alla fine dei tempi (e non solo allora) sarà ciò che si è fatto, o non fatto. Per dirla senza sfumature: voi non entrerete nel Regno per il fatto d'essere divenuti sacerdoti, ma se avrete svolto degnamente il vostro ministero, cioè avendo «sempre davanti agli occhi l'esempio del Buon Pastore, che non è venuto per essere servito, ma per servire, e per cercare e salvare ciò che era perduto» (Omelia rituale cit.). Altre cose potrebbero esservi date e attribuite perché siete preti; in Paradiso, però, ci andrete solo se avrete fatto i preti.

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