Il buon tesoro, o il cattivo tesoro del cuore. Omelia nel pellegrinaggio giubilare del Vicariato di Nettuno – 10 settembre 2016

10-09-2016
Il buon tesoro, o il cattivo tesoro del cuore
Omelia nel pellegrinaggio giubilare del Vicariato di Nettuno
                                                                       1Cor 10,14-22
                                                                   Lc 6,43-49

 
1. Sapete, carissimi, che nei giorni scorsi i vostri sacerdoti hanno vissuto insieme col vescovo alcuni giorni di fraternità e di studio, riunendosi in un luogo appartato. Lo abbiamo fatto per disporci alla ripresa degli abituali impegni pastorali dopo i mesi estivi, dedicandoci alla preghiera e anche allo studio, specialmente della recente esortazione apostolica Amoris laetitia. Questo documento dedicato all’amore nella famiglia il Papa lo ha donato a tutti noi perché ne riceviamo incoraggiamento «a stimare i doni del matrimonio e della famiglia, e a mantenere un amore forte e pieno di valori quali la generosità, l’impegno, la fedeltà e la pazienza» (n. 5). C’è pure una seconda ragione, importante da cogliere in questo Giubileo della Misericordia ed è «incoraggiare tutti ad essere segni di misericordia e di vicinanza lì dove la vita familiare non si realizza perfettamente o non si svolge con pace e gioia» (Ivi).
Abbiamo, perciò, riflettuto su alcune azioni specifiche che il Papa ci raccomanda. Una di queste è indicata col verbo accompagnare, che dovrebbe esserci ormai famigliare poiché nello scorso mese di giugno le abbiamo dedicato il Convegno Diocesano 2016, i cui Atti, appena pubblicati, sono ora a vostra disposizione. Accompagnare vuol dire tante cose, come «stare vicini», «camminare insieme» e anche «sostenersi» e «prendersi cura» dell’altro per tante e tante ragioni: perché è inesperto, o forse malato, o anche debole, oppure stanco, scoraggiato … Avete presenti i due discepoli sulla strada per Emmaus? Gesù li accompagnò sino alla mensa. Una probabile etimologia della parola «compagno» rimanda appunto alla condivisione del pane, all’essere commensali!
Anche noi, adesso, siamo «commensali» alla mensa della Parola e del Corpo del Signore. Abbiamo, infatti, ascoltato l’Apostolo: «il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane» (1Cor 10, 16-17).
Accompagnare, però, non è solo aiutare gli altri, ma è pure un aiutare se stessi. I Padri del deserto dicevano: «Colui che si versa dell’olio sulla mano per ungere il malato è il primo a trarre beneficio da quell’unzione» (cf. Serie Sistem. XII, 14; Serie Anon. 635). È proprio così. Dobbiamo imparare a farci compagni dei nostri fratelli! Non possiamo riceverne che del bene.
 
2. Il secondo verbo, la cui importanza il Papa sottolinea nella sua esortazione apostolica, è discernere, che significa varie cose, tra cui «mettere alla prova» e anche «riconoscere». Che cosa? La volontà di Dio, certamente, ma anche, in ultima analisi, riconoscere se stessi. Non sono due cose distanti fra loro, carissimi; sono, anzi, più vicine di quanto non immaginassimo. Nelle meditazioni di sant’Agostino c’è questa bella invocazione, ch’è un po’ la sintesi della sua anima: «che io conosca me, che io conosca Te», noverim me, noverim Te! (Soliloquia II, 1, 1: PL 32,885). Vuol dire che l’uomo riconosce e scopre davvero se stesso solo quando si pone in dialogo con Dio.
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