La mia àncora, la mia vela

Omelia nella Veglia diocesana per le Vocazioni
02-05-2020

È un Gesù un po’ particolare, addirittura insolito, quello che si mostra nel racconto evangelico. È lui che, al termine di una giornata alquanto impegnata, prende l’iniziativa di una traversata verso la riva opposta del lago; una volta, però, accomodatosi su di un cuscino, si mette a dormire e lo fa, per di più, standosene a poppa della barca, ossia sul luogo assegnato al pilota per reggere il timone e dirigere le manovre. Non dava un po’ di fastidio? Ancora, non sarebbe stato meglio riposarsi e partire un po’ dopo? Non si andava affatto a pescare: perché mettersi in mare di notte (cf. Lc 5,4)? Non c’era alcuna urgenza! La fretta, invece, Gesù l’aveva perché – come proseguirà il racconto – andava nel territorio dei pagani per portare anche lì la misericordia e la salvezza.

All’improvviso, però, c’è una sorta di tsunami che getta tutti nel panico. Il mare, le acque sono nella Bibbia anche un simbolo dell’esistenza umana: di vita, ma anche di morte. Anche per noi è così: tutto va avanti, si fanno i progetti, si fanno le intese e anche si litiga… ma poi accade qualcosa che mette in crisi tutto. Un po’ come il virus di questi tempi. C’è pure chi ne parla come un demone e infatti sarà proprio un indemoniato ad andare incontro a Gesù una volta sbarcato nel paese dei Geraseni. Adesso c’è la caccia al colpevole. È il vecchio gioco dello scaricabarile. Anche i discepoli lo fanno. Praticamente dicono a Gesù: «Sei tu che hai voluto che partissimo! Perché ora te ne stai a dormire? Il rimprovero è chiaro. C’è panico e irritazione. Si potrebbe anche tradurre: siamo rovinati per colpa tua; non te ne importa?