Da secoli nella nostra liturgia romana linizio del tempo quaresimale è segnato dallimposizione della ceneri benedette sul capo dei fedeli. Anche noi, fra poco, terminata lomelia, celebreremo questo rito. Dallultima riforma liturgica esso è abitualmente accompagnato dallesortazione: «Convertitevi, e credete al Vangelo» tratta dal vangelo secondo Marco (1,15). Unaltra formula, in uso già dal V secolo, dice: «Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai». Forse anche per il suo richiamo alla morte, oggi è poco usata. Daltra parte sappiamo bene che il Signore non vuole che il peccatore muoia, ma che si converta e viva (cfr Ez 33,11). Ritengo, tuttavia, che quellantica formula meriti qualche approfondimento di meditazione.
«Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai» sono le parole di condanna di Dio rivolte alluomo dopo la colpa originale (cfr Gen 3,19). Daltra parte lo stesso termine Adam appare nella Bibbia come nome generico che, se pure traduciamo con «uomo», etimologicamente vuol dire «rosso» con un richiamo alla terra argillosa. Adam è luomo che Dio ha plasmato con la terra. Sicché spesso nella Bibbia leggiamo la confessione: «Io sono polvere e cenere», come sulle labbra di Abramo quando intercede presso Dio per gli abitanti di Sodoma (Gen 18,27). È, peraltro, una immagine molto calzante per descrivere la fugacità delluomo e la sua fragilità. Anche nel nostro linguaggio «stare nella polvere» è unespressione che indica una sconfitta, una umiliazione. Di Napoleone, «Due volte nella polvere ...» ha scritto A. Manzoni! La polvere è pure un simbolo della distruzione sicché, quando minacciamo qualcuno gli diciamo che vorremmo ridurlo «in polvere», ossia allimpotenza. È anche figura delleffimero, perché la polvere non ha forma; la si trova dappertutto ma non ha dimora fissa in alcun luogo ed è immagine del nulla, perché può essere dispersa, calpestata e schiacciata.
Dio, però, non vuole mettere una pietra tombale sulla storia umana. Piuttosto, preso atto del peccato, egli non rinuncia affatto (né mai vi rinuncerà) ad aprire vie di salvezza. Ed è così che il testo sacro subito dopo racconta: «il Signore Dio fece alluomo e sua moglie tuniche di pelle e lo vestì» (Gen 3,21). Nonostante lo abbiano offeso, Dio restituisce alluomo e alla sua donna la dignità perduta, significata dalla loro nudità. Non più, allora, le cinture che loro avevano intrecciato con foglie di fico (cfr Gen 3,7), appena sufficienti a coprire le parti più intime del corpo, ma delle tuniche protettive. Nelle interpretazioni ebraiche questo gesto divino è addirittura spiegato come gesto di onore e le tuniche sono paragonate a degli abiti sacerdotali: «Allora Yahvé Elohim fece per Adamo e la sua donna degli abiti di gloria per coprire la pelle dei loro corpi e li rivestì» (Targum Neofiti su Gen 3,21).
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