La terra arida esulti. Omelia per il Mercoledì delle Ceneri, 10 febbraio 2016

10-02-2016

Da secoli nella nostra liturgia romana l’inizio del tempo quaresimale è segnato dall’imposizione della ceneri benedette sul capo dei fedeli. Anche noi, fra poco, terminata l’omelia, celebreremo questo rito. Dall’ultima riforma liturgica esso è abitualmente accompagnato dall’esortazione: «Convertitevi, e credete al Vangelo» tratta dal vangelo secondo Marco (1,15). Un’altra formula, in uso già dal V secolo, dice: «Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai». Forse anche per il suo richiamo alla morte, oggi è poco usata. D’altra parte sappiamo bene che il Signore non vuole che il peccatore muoia, ma che si converta e viva (cfr Ez 33,11). Ritengo, tuttavia, che quell’antica formula meriti qualche approfondimento di meditazione.

«Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai» sono le parole di condanna di Dio rivolte all’uomo dopo la colpa originale (cfr Gen 3,19). D’altra parte lo stesso termine Adam appare nella Bibbia come nome generico che, se pure traduciamo con «uomo», etimologicamente vuol dire «rosso» con un richiamo alla terra argillosa. Adam è l’uomo che Dio ha plasmato con la terra. Sicché spesso nella Bibbia leggiamo la confessione: «Io sono polvere e cenere», come sulle labbra di Abramo quando intercede presso Dio per gli abitanti di Sodoma (Gen 18,27). È, peraltro, una immagine molto calzante per descrivere la fugacità dell’uomo e la sua fragilità. Anche nel nostro linguaggio «stare nella polvere» è un’espressione che indica una sconfitta, una umiliazione. Di Napoleone, «Due volte nella polvere ...» ha scritto A. Manzoni! La polvere è pure un simbolo della distruzione sicché, quando minacciamo qualcuno gli diciamo che vorremmo ridurlo «in polvere», ossia all’impotenza. È anche figura dell’effimero, perché la polvere non ha forma; la si trova dappertutto ma non ha dimora fissa in alcun luogo ed è immagine del nulla, perché può essere dispersa, calpestata e schiacciata.

Dio, però, non vuole mettere una pietra tombale sulla storia umana. Piuttosto, preso atto del peccato, egli non rinuncia affatto (né mai vi rinuncerà) ad aprire vie di salvezza. Ed è così che il testo sacro subito dopo racconta: «il Signore Dio fece all’uomo e sua moglie tuniche di pelle e lo vestì» (Gen 3,21). Nonostante lo abbiano offeso, Dio restituisce all’uomo e alla sua donna la dignità perduta, significata dalla loro nudità. Non più, allora, le cinture che loro avevano intrecciato con foglie di fico (cfr Gen 3,7), appena sufficienti a coprire le parti più intime del corpo, ma delle tuniche protettive. Nelle interpretazioni ebraiche questo gesto divino è addirittura spiegato come gesto di onore e le tuniche sono paragonate a degli abiti sacerdotali: «Allora Yahvé Elohim fece per Adamo e la sua donna degli abiti di gloria per coprire la pelle dei loro corpi e li rivestì» (Targum Neofiti su Gen 3,21).
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