Mistero d’amore, segno di unità, vincolo di carità. Omelia nella dedicazione dell’altare e della chiesa parrocchiale di sant’Agostino in Pomezia – Campo Ascolano, 7 giugno 2015

07-06-2015
Celebrare la solennità del Corpo e Sangue del Signore in una comunità parrocchiale intitolata a sant’Agostino comporta inevitabilmente, almeno per me, sentire l’eco di alcune sue mirabili invocazioni eucaristiche: O Sacramentum pietatis! O signum unitatis! O vinculum charitatis! Sono parole che personalmente mi toccano e mi sono care, perché mi riportano al tema del XV Congresso Eucaristico Nazionale celebrato a Lecce dal 29 aprile al 6 maggio 1956: in quei giorni io feci la mia «prima comunione». Più ancora, però, sono parole care alla tradizione della Chiesa perché ci portano nel cuore della Santissima Eucaristia. Riflettiamo qualche momento sulle parole del santo Vescovo e Dottore.
Egli chiama l’Eucaristia anzitutto come sacramentum pietatis, mistero di amore. Se scaviamo un po’ più a fondo nelle due parole latine vediamo che la parola «sacramento» ha pure il valore di una promessa, di un giuramento, di un impegno. Anche sant’Agostino conosceva questo significato (cfr Quaest. Evangel. I, 27: PL 35,1328: dove chiama sacramentum caritatis l’annuncio della passione fatta da Gesù a due suoi discepoli). L’altra parola: pietas, indica, a sua volta, una virtù famigliare perché designa l’amore che si ha fra parenti, come di un figlio verso un padre. Siamo davanti a un litorale laziale, che Virgilio scelse come scenario per la sua Eneide. Lì egli indica Enea, il suo eroe, come insignis pietate vir (cfr I, 10); lo chiama sempre pius Aeneas; egli stesso così si presenta: sum pius Aeneas (I, 378) e tutto questo perché, fuggendo da Troia in fiamme, egli aveva portato con sé il padre Anchise e il figlioletto Ascanio. L’Eucaristia – sacramentum pietatis – è un giuramento d’amore di Gesù verso di noi. Quell’amore noi riusciamo a coglierlo nell’evento della sua passione e morte, quando, avendo amato i suoi, li amò sino alla fine (cfr Gv 13,1). È ancora Agostino a sollevarci il velo su questa frase, quando commenta: «Che significa sino alla fine, se non fino a Cristo? (Quid est enim, in finem, nisi, in Christum?)» (In Io. Ev. 55,2: PL  35,1785). Gesù ci ha amato sino al punto di congiungerci a Sé. È amore nuziale, questo!
Aggiunge, poi, che l’Eucaristia è simbolo di unità: signum unitatis. Se la prima espressione ci ha fatto andare oltre il segno esterno del pane e del vino e arretrare sino alla sorgente di questo mistico dono, ossia la morte sulla croce del Signore Gesù, adesso ci è chiesto di riflettere proprio su quel segno posto sull’altare. Fin dall’antichità la mietitura del grano e la vendemmia dell’uva sparsi per i campi e poi, rispettivamente, i processi della macinazione e della pressa, della cottura e della fermentazione sino al prodotto finale del pane e del vino posti sulla mensa sono stati interpretati come il simbolo della nostra unificazione in Cristo: «pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo», scrive san Paolo (Rm 12,5).
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