Omelia nella Festa della Presentazione del Signore – XIV Giornata Mondiale della Vita Consacrata

02-02-2010

1. La festa che stiamo celebrando è come un arazzo nel quale sono intessuti tutti i fili, che compongono la storia della salvezza: la salvezza per tutti i popoli, la luce per le genti, la gloria per Israele. C'è pure il 'compimento dei giorni': siamo, allora, nell'Oggi in cui ogni parola di Dio si compie e l'uomo, uscito dalle mani di Dio, può fare ritorno a Lui mediante Gesù, il Figlio che dall'eternità era nel seno del Padre e che ora è presentato al Signore nel Tempio. C'è, infine, come abbiamo ascoltato dal racconto del Vangelo, la testimonianza che, come nel bagliore della Trasfigurazione, la Legge e la Profezia rendono a Cristo.

Per il tempo della 'purificazione rituale', l'antica Legge richiedeva il trascorrere di quaranta giorni (cf. Lv 12, 1-4); tanti sono pure quelli che, secondo san Luca, vanno dalla Risurrezione del Signore alla sua Ascensione al cielo prima che inizi il tempo della Chiesa. Questo, dunque, è pure il tempo in cui la rivelazione di Cristo deve raggiungere tutte le genti e fra queste ci siamo noi, che, spinti dallo Spirito Santo, come Simeone possiamo ripetere: 'i miei occhi hanno visto la tua salvezza'.

 

2. Simeone è un 'uomo giusto e pio', che per giorni e per anni ha scrutato con attenzione volti di bambini e di adulti per riconoscere in uno di essi quello del Cristo del Signore. Il Vangelo lo definisce con la parola prosdekòmenos, che indica uno tutto concentrato nell'attesa e proteso verso chi sta per arrivare. Osserviamolo bene, allora, e cerchiamo di immaginarcelo nel suo atteggiamento, non con la nostra fantasia, ma con le pennellate che San Luca  dipinge nel suo vangelo. Quando Maria e Giuseppe hanno concluso la salita verso Gerusalemme e, portando su il Bambino, sono giunti in uno dei cortili del Tempio, ecco che lì ad aspettarli c'è non uno dei sacerdoti, o dei leviti che servivano al Signore, ma un uomo ormai avanti negli anni, ma ardente per il desiderio di vedere il Messia. Simeone è uomo di desiderio.

Per questo egli ha atteggiato il suo corpo in modo da accogliere il Neonato in ulnas suas, come dice il testo latino facendo riferimento all'osso del gomito. Nel testo greco si legge letteralmente agkálas, che sono le braccia piegate, a modo di una culla. Chi non coglierà la tenerezza di questo atteggiamento? Simeone non prende Gesù con le mani: con quelle, in genere, si afferrano gli oggetti; talvolta, quando c'è l'ingordigia, si arraffano le cose, si rubano i beni. Ma Gesù è un dono! Per questo non lo si può prendere, ma solo accogliere. Le braccia piegate di Simeone sono il segno della sua umiltà e della sua anima riconoscente.

...

“”