Omelia nella notte di Natale, 25 dicembre 2010

25-12-2010

1. Celebriamo la nascita di Gesù. Lo facciamo nottetempo, prima che sorga la luce del giorno, perché la presenza del Signore nella storia è come l'irrompere di un luce che squarcia le tenebre e inaugura un tempo nuovo. «Già risplende il tuo presepe e la notte irradia una nuova luce», si canta in un inno natalizio di sant'Ambrogio, che così prosegue: «nessuna tenebra l'oscuri, ma risplenda di fede perenne» (Inno Intende. Qui regis Israel str. VIII). A dispetto del buio esterno, il tema della luce è dominante in tutta questa liturgia. «Su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse», ha proclamato il profeta Isaia e anche san Paolo ha ricordato che «è apparsa la grazia di Dio, portatrice di salvezza». Dio, che all'inizio della creazione pronunciò la sua prima benedizione dicendo: «sia fatta la luce», ha pure «illuminato questa santissima notte con lo splendore di Cristo, vera luce del mondo» (Orazione Colletta).

Il simbolo riguarda anzitutto la nostra condizione spirituale, interiore. Il buio indica la condizione di una mente chiusa alla verità e di un cuore serrato alla pietà e all'amore. Il prevalere della luce deve significare che il nostro intelletto si apre a cose degne e belle e che il nostro animo si rivolge a ciò ch'è buono. Molto spesso, però, tutto questo rimane in noi solo nell'ordine delle intenzioni.

Questo è certamente molto importante. La «buona intenzione», ossia volere il bene è già un grande passo in avanti. Non basta, però, perché, insieme con l'intenzione deve diventare «buona» anche la nostra azione. Deve esserlo, anzi, giorno dopo giorno, nella fatica dell'onestà e della rettitudine quotidiane, nelle correttezza e nella limpidezza delle relazioni che ciascuno di noi intreccia nella famiglia, nel lavoro, nel vivere sociale, nello svago... È con l'esercizio paziente e quotidiano delle virtù che noi diventiamo «buoni» ed è «virtù» ciò che ricompone quotidianamente il nostro «io», aiutandolo a superare la dispersione da cui ciascuno di noi è continuamente tentato, a vincere la banalità che sempre più vuol prendere il sopravvento nelle nostre esistenze: è uno squallore che tracima ormai dai dibattiti pubblici, dai mass media, dalla pubblicità e che per la sua sfacciataggine quando non c'indigna, ci frastorna e ci amareggia per i suoi desolanti scenari.

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