Omelia nella solennità dei Santi Oronzo, Fortunato e Giusto, 26 agosto 2014

26-08-2014

Permettete che vi comunichi subito la gioia di stare insieme con voi, qui a Lecce, attorno alla Mensa del Signore nel giorno in cui questa Chiesa onora i santi Patroni Oronzo, Giusto e Fortunato. Con tale sentimento dico la mia riconoscenza all’Arcivescovo D. U. D’Ambrosio, che con amicizia mi ha invitato e fraternamente mi concede di presiedere quest’assemblea liturgica dalla sua Cattedra. La gioia è accresciuta dall’opportunità che ne deriva di ritrovare qui tanti amici del presbiterio diocesano, dove ci sono ancora qualche mio educatore, molti compagni nel Seminario e pure tanti alunni, verso i quali conservo vivo il senso della fraternità e della paternità.

1. L’emozione viene pure dai tanti ricordi che questa festa mi suscita nell’animo; di quand’ero adolescente nel Seminario; di quando, per la «passeggiata lunga» nelle giornate festive, di tanto in tanto ci si avviava verso la capu te Santu Ronzu: il santuario fuori città, ch’è la più antica testimonianza letteraria del culto verso questo Santo; la via que vadit ad S. Arontium, attestata da un diploma di Tancredi del 1181. Le tappe su quella strada, allora sterrata e praticamente di campagna, erano alcune sacre edicole, quasi stazioni di una locale via crucis percorsa da Giusto e Oronzo condotti al luogo del martirio. Giunti, poi, a Santu Ronzu te fore, fra un gioco e l’altro andavamo al pozzo e guardavamo nel fondo, quasi a scrutare le reliquie di una storia che più d’ogni altra ci faceva sentire «leccesi». Non è, tutto sommato, una storia molto lunga. I suoi elementi essenziali si trovano nel «supplice libello» prodotto dal vescovo L. Pappacoda per ottenere dalla Congregazione dei Riti la conferma del culto. Cosa che avvenne il 13 luglio 1658.

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