Omelia nella Veglia di preghiera per l’inizio della Visita pastorale nel Vicariato di Nettuno, 8 marzo 2014

08-03-2014

Omelia

Nella Veglia di preghiera per l'inizio della Visita pastorale nel Vicariato di Nettuno

 

1. Torniamo con la nostra immaginazione al racconto evangelico, che abbiamo appena ascoltato e rivediamo la scena in esso disegnata. È la festa di Pasqua; il contesto, però, non è affatto quello solenne del Tempio. C'è, invece, una città con delle strade da percorrere. È il nostro consueto habitat. C'è pure un uomo che reca una brocca d'acqua. Sembra il segnale per un appuntamento, fatto apposta per essere notato. Un po' strano per un uomo, all'epoca di Gesù. In ogni caso è una attività profana, così come profana ' ossia al di fuori dal luogo sacro ' è la città dove abitano le famiglie, le persone. Sono i nostri spazi consueti, le nostre attività, il nostro lavoro d'ogni giorno.

Poi lo scenario diventa più intimo: una casa, una stanza («la mia stanza»), la sala pronta per la cena. Tutto sembra fatto perché anche noi, che ascoltiamo il racconto, ci sentissimo un po' come a casa nostra, in un clima famigliare. Ed ecco i gesti e le parole di Gesù. Nei racconti del Vangelo ve ne sono di ben più eclatanti e solenni: come quando chiamò Lazzaro fuori dalla tomba; come nella proclamazione delle Beatitudini. Eppure, fra i tanti gesti e le tante parole che la prima comunità cristiana ha conservato di Gesù, questi gesti e queste parole ci sono le più care: prese un pane, prese un calice ' questo è il mio corpo, questo è il mio sangue ' C'è il rendimento di grazie, la distribuzione, il mangiare e il bere. Tutto questo è divenuto da subito il cuore della Chiesa.

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