Omelia nell’ordinazione presbiterale del diacono Rudi Piccolo, 30 giugno 2011

30-06-2011

Il canto dell'inno liturgico dei primi Vespri Auctor beate saeculi ci ha già introdotto nella solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù. Il suo testo non ci giunge, come nella gran parte dei casi, dalla Chiesa antica, ma è stato scritto nel XVIII secolo, forse dallo scolopio Filippo Bruni (+ 1771). È un vero canto all'amore di Cristo, composto con modelli che ricordano Sant'Ambrogio e ricco di richiami biblici. La seconda strofa dice così: «Il tuo amore ti ha spinto ad assumere un corpo mortale, affinché, come nuovo Adamo, restituissi ciò che il vecchio aveva portato via». L'amore del Cuore di Cristo è, dunque, ricco di misericordia e perciò l'inno si espande subito in un'implorazione: «Non se ne vada dal tuo cuore quella forza del tuo inclito amore: le genti attingano a questa fonte la grazia del perdono».

Appare subito l'immagine delle «sorgenti della salvezza» (cfr Is 12, 3), da cui Pio XII attinse il titolo dell'enciclica Haurietis aquas (1956) con cui spiegò il fondamento teologico della devozione al Sacro Cuore. Nulla, spiegò quel Papa, ci vieta di adorarlo «come indice naturale o simbolo della sua immensa carità per il genere umano» (DHü 3922).

A questa medesima immagine aveva fatto ricorso, molti secoli prima, anche San Bonaventura, che fu uno degli antesignani della devozione al Cuore di Gesù. In un testo che leggeremo domani nell'Ufficio delle Letture egli scrive che «la virtù sgorgata misteriosamente da quel Cuore dà la forza ai sacramenti della Chiesa di conferire la vita della grazia e per i viventi in Cristo diventa la coppa d'acqua zampillante, sorgente per l'eternità». Subito dopo, aggiunge un'esortazione che ciascuno di noi può sentire come rivolta a sé stesso: «Sorgi, pertanto, o anima amica di Cristo e sii anche tu come la colomba che nidifica nella gola della roccia' È questa, infatti, la sorgente della vita» (Lignum vitae VIII, 30: NCB XIII, p. 245).

...

“”