Omelia
per il giorno di Pasqua 1999
1. Anche quest'anno, l'ultimo di un secolo e di un millennio, noi celebriamo, fratelli ed amici, la Domenica di Risurrezione. La liturgia della Veglia Pasquale, nella notte appena passata ci ha riproposto il suo canto di giubilo con queste parole: “”La luce del re eterno ha vinto le tenebre del mondo: gioisca la terra inondata da tanto splendore””. Sull'onda di questa esultanza, anche noi abbiamo innalzato il canto dell'Alleluia, il canto nuovo dei liberati, che significa tante cose: Dio è grande, Egli ha fatto cose grandi, noi siamo nella gioia. La Chiesa intera c'invita: “”Questo è il giorno fatto dal Signore, esultiamo insieme.
Il “”giorno che ha fatto il Signore””: quanto diverso, questo giorno, da quello ch'è fatto dagli uomini! Stamane, fratelli, risentendo dalla radio le tragiche notizie degli esiti di guerra nelle regioni balcaniche, mi sono tornate alla mente le parole iniziali del salmo 137: “”Noi eravamo sulle rive dei fiumi di Babele e piangevamo al ricordo di Sion. Perché là, ai pioppi delle sponde abbiamo appeso le nostre cetre, mentre i nostri deportatori ci chiedevano canzoni di gioia: Ripeteteci i canti di Sion””. Babele è il luogo di ogni confusione e di ogni esilio, spirituale e geografico.
Anche noi, oggi, ci domandiamo: come celebrare l'esultanza pasquale in mezzo alla sofferenza umana, in particolare a quella dei depredati e degli esiliati? Loro gridano ancora, come Gesù: “”Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato?”” (Sl 22, l). L'eco del grido della Croce ancora non si è spento, benché il nostro Signore ci ripeta in verità: “”Io sono risorto e sono di nuovo con te””.