Omelia per la veglia di Natale, 25 dicembre 2008

25-12-2008

Celebriamo di notte questa memoria della Nascita del Signore Gesù, così come di notte vegliamo per accogliere l'annuncio della sua Risurrezione. Di notte, perché ci raggiunga la profezia: 'il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce' (Is 9,1); di notte, perché era buio quando nell'ora della creazione del mondo risplendette per la prima volta la luce; di notte, perché così fu nella prima Pasqua, quando Israele uscì libero dall'Egitto e si avviò verso la terra promessa. Quando, infine, per il mondo giungerà la redenzione totale, essa brillerà come una luce nella notte (cf. Targum su Es 12,42). Celebriamo di notte la Natività del Signore, perché in essa riconosciamo l'avvento della nostra salvezza.

Un calendario cristiano del IV secolo sentenziava: Natale Domini, Pasca! Celebrare il Natale del Signore è celebrare la Pasqua. Anche per questo antichissimi calcoli - che non esprimevano una verità astronomica, ma una realtà mistica - portavano a dire che Gesù era stato concepito nel medesimo giorno in cui avrebbe subito la passione.

Inizio e fine dell'umana esistenza in qualche modo si toccano. E se per un verso è vero, come insegnava un noto filosofo, che la nostra vita deve essere un 'vivere-per-la morte' perché siano autentiche tutte le nostre scelte (M. Heidegger), non meno vero è che con la morte (tale è la fede di noi cristiani) la vita non è tolta, ma trasformata in vita eterna. Se, dunque, vita e morte per noi in qualche modo si toccano, ciò vale anche per Gesù?

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