Poteva esserci misericordia maggiore di questa? Omelia nel pellegrinaggio giubilare del Vicariato di Marino, 21 maggio 2016

21-05-2016
Prov 8, 22-31
Rom 5, 1-5
Gv 12, 12-15
 
1. Una volta concluso il tempo pasquale, la festa della Santissima Trinità ci permette di contemplare quasi in un colpo d’occhio questa fase-culmine della storia della salvezza; come se, portati ancora più su della più alta montagna, fossimo messi in grado ammirarne la vetta e goderne la visione passando dalla meditazione sugli eventi alla considerazione dei protagonisti; delle Persone che li hanno progettati, voluti, realizzati! Guardare, cioè, al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo e ciascuno di Loro vederli coinvolti in ogni singola storia: insieme – il Padre e il Figlio e lo Spirito – nel dolore del Calvario, nel fulgore della Risurrezione, nel calore di una casa in Gerusalemme – il Cenacolo –riempita da mistiche fiamme. Sempre insieme: il Padre, il Figlio e lo Spirito. Mai soli: il Padre, il Figlio e lo Spirito.
Che nome dare a tutto questo? Vorrei dargli il nome di misericordia. Predicava sant’Agostino: «Poteva esserci, verso di noi infelici, misericordia maggiore di questa? Quella che indusse il Signore del mondo a rivestirsi di una carne mortale e della natura di servo di modo che, pur essendo pane, avesse fame; pur essendo la sazietà piena, avesse sete; pur essendo la potenza, divenisse debole; pur essendo la salvezza, venisse ferito; pur essendo vita, potesse morire? E tutto questo per saziare la nostra fame, alleviare la nostra arsura, rafforzare la nostra debolezza, cancellare la nostra iniquità, accendere la nostra carità. Ci poteva essere misericordia maggiore di questa?» (Discorso 201,1: PL 38,1043). Tutto è misericordia: dal dolore della passione all’ardore pentecostale della carità.
Per raccontare questo mistero le letture bibliche della liturgia odierna ci suggeriscono un’immagine e due affermazioni: un fanciullo che gioca, un amore che si effonde, una verità che si lascia cercare.
 
2. Nella prima lettura la Sapienza di Dio si presenta come un bambino, che gioca sul globo terreste, come un fanciullo con la sua palla! L’immagine, emozionante, è conosciuta già dalla filosofia greca: «il tempo della vita umana è una bambino che gioca» (Eraclito, Fr. 97). Abbiamo udito: «giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo». C’è un papà, in mezzo a noi, che abbia giocato così col suo figlioletto? E non l’ha visto rallegrarsi e sorridere? Ricevere gioia nel suo cuore e donarne a sua volta? Così è Dio: come un bambino che dà gioia, ricevendone. Non dimentichiamo: Dio ci dona gioia («vi ho dette queste cose perché la mia gioia sia in voi…», Gv 15,11), ma anche noi dobbiamo dare gioia al suo cuore.
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