San Nilo aroma di virtù. Omelia nella memoria di San Nilo, Basilica Abbaziale di Grottaferrata, 26 settembre 2016

26-09-2016
San Nilo, aroma di virtù

 
1. «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11, 28). L’invito di Gesù, che abbiamo appena ascoltato dalla proclamazione del Vangelo noi già lo stiamo mettendo in pratica: siamo venuti a Lui, con le nostre stanchezze e le nostre domande, per ricevere da Lui un conforto e un dono di senso. La celebrazione della Divina Liturgia è una pausa che stabiliamo nei ritmi, talvolta vorticosi, della nostra vita per vivere l’incontro col Signore, quello che dà ragione alla vita di cristiani.
Siamo qui per celebrare la memoria di san Nilo proprio nel luogo dove egli fu sepolto e vediamo bene che questa non è una tomba, ma una culla dove è cresciuta non soltanto una comunità monastica, ma un’intera Città. Per questo insieme con i monaci e i fedeli ci sono anche le autorità comunali: il sig. Sindaco e le altre civili, militari e di polizia sicché san Nilo oggi è onorato non soltanto dal Monastero che prende il nome da lui, ma da tutta Grottaferrata. Insieme rendiamo lode al Signore con le parole di un Inno sacro: «O Nilo, celeberrimo, tu fioristi quasi palma e come cedro ti moltiplicasti per le tue virtù, profumando con esse tutti quelli che ora ti cantano: o Dio dei Padri nostri, sii Tu benedetto» (S. Bartolomeo jr, Ode VII nella festa del 26 settembre).
Le virtù infatti sono come erbe aromatiche: non soltanto diffondono un odore soave, ma pure insaporiscono le vivande sicché ne godono i nostri sensi: l’odorato, il gusto, la vista. Analogamente avviene nella vita spirituale. Una persona ricca di virtù dona gioia, serenità, conforto a quanti incontra. Così sono i santi autentici! Creano comunione, danno conforto, ispirano pace. I santi «finti», invece (e ci sono anche quelli!) creano divisioni, dissidi, rivalità, fazioni… Non profumano, ma puzzano, spargendo veleni, inimicizie e diffondendo chiacchiere e pettegolezzi.
Sappiamo che il Papa chiama tutto questo «terrorismo». Lo ha ripetuto l’altro giorno, incontrando l’Ordine dei giornalisti: «Spesso ho parlato delle chiacchiere come “terrorismo”, di come si può uccidere una persona con la lingua. Se questo vale per le persone singole, in famiglia o al lavoro, tanto più vale per i giornalisti, perché la loro voce può raggiungere tutti, e questa è un’arma molto potente» (Discorso del 22 settembre 2016). Cose simili, però, Francesco le dice anche quando si rivolge a uomini e donne «di chiesa»! Parlando a religiosi e religiose il 1 febbraio scorso per il Giubileo della Vita consacrata ha detto: «Un modo di allontanarsi dei fratelli e delle sorelle della comunità è proprio questo: il terrorismo delle chiacchiere. Sentite bene: non le chiacchiere, il terrorismo delle chiacchiere. Perché chi chiacchiera è un terrorista. È un terrorista dentro la propria comunità, perché butta come una bomba la parola contro questo, contro quello, e poi se va tranquillo. Distrugge! Chi fa questo distrugge, come una bomba, e lui si allontana. Questa, l’apostolo Giacomo diceva che era la virtù forse più difficile, la virtù umana e spirituale più difficile da avere, quella di dominare la lingua. Se ti viene di dire qualcosa contro un fratello o una sorella, buttare una bomba di chiacchiera, morditi la lingua!» (Discorso del 1 febbraio 2016).
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