«Stiamo celebrando da quasi 40 giorni il Mistero della Pasqua. La Pasqua non è un giorno, ma è molto di più: è un tempo, un modo di vivere della Chiesa, un evento che celebriamo ogni sette giorni nella Messa domenicale quando, dopo la consacrazione, pronunciamo il mistero della fede». Con queste parole monsignor Marcello Semeraro ha aperto l’omelia della Messa di domenica 25 maggio presso la Parrocchia Sacratissimo Cuore, a Nettuno, ultima tappa del lungo itinerario che lo ha visto, in quattro anni, percorrere le strade della Diocesi per andare “a visitare i fratelli”.
La domenica, cuore della vita parrocchiale
Ancora una volta, a conclusione di questo viaggio che, come tutti i cammini, ha conosciuto momenti di stanchezza e momenti di maggior vigore, il vescovo Marcello ha voluto richiamare l’attenzione di tutti sulla Messa della domenica, cuore della vita parrocchiale e di quella di ogni cristiano. Richiamando passi della prima e della seconda lettura, il vescovo li ha agganciati al modo di presentarsi che ha apprezzato nelle varie realtà della Parrocchia Sacratissimo Cuore, che cerca di testimoniare la propria speranza a tutti, con un atteggiamento di benevolenza, di mitezza, di carità. «Siamo la Parrocchia del Sacratissimo Cuore di Gesù – aveva osservato d’altronde il parroco, don Massimo Silla, nel saluto al vescovo – e questo dovrebbe portare parroco e parrocchiani, con il loro modo di essere, a testimoniare le meraviglie di cui il cuore di Cristo è capace e a vivere le opere di misericordia che sa operare».
La visita ai malati della parrocchia
Sempre durante il saluto, a tratti informale e affettuoso al vescovo e ai convisitatori (monsignor Gualtiero Isacchi, don Jourdan Pinheiro e padre Zane), don Massimo ha anche ringraziato monsignor Semeraro per il momento intenso vissuto con la visita ai malati e alle loro famiglie: «A volte le ferite del corpo possono raggiungere anche l’anima – ha osservato – ma, nella sua visita, queste persone hanno sperimentato nella loro vita la presenza del pastore che si fa vicino alle sue pecore per curarle e fasciarle, confortarle e consolarle».
L’azione dello Spirito Santo nella vita del credente
Il vescovo si è poi soffermato sul grande dono di Dio ai battezzati, cioè lo Spirito che è “paraclito”, vale a dire, etimologicamente, “che è chiamato a starci accanto”, anzi addirittura a “stare in noi”. È un linguaggio particolare, ha osservato il vescovo, il linguaggio del Vangelo: è linguaggio dell’interiorità e dell’intimità, è linguaggio che pone accanto termini e concetti apparentemente contrastanti quali, ad esempio, l’obbligo, il dovere, il comandamento e l’Amore nel quale è invece sempre insita la libertà. «Per i cristiani – ha detto Semeraro – è l’Amore che detta la legge e obbedire ai comandamenti significa sperimentare l’Amore». Un argomento complesso, ma di cui ciascuno può sperimentare la verità nel profondo della propria coscienza: «La parte più intima e preziosa del nostro essere – ha detto il vescovo – come il tabernacolo in una chiesa».
Collaborazione, ospitalità, missione
Prima del congedo, monsignor Semeraro ha invitato i presenti a pregare per il Santo Padre che, recandosi in Terra Santa, vuole idealmente portare con sé ognuno, la Chiesa intera, alle “sorgenti” del cristianesimo. Prima della benedizione finale, monsignor Semeraro ha avuto ancora parole di incoraggiamento nei confronti della Parrocchia, sottolineando come la conclusione di un cammino non significhi la sua fine: inizia ora per tutti l’impegno ad andare avanti, con maggior impegno e consapevolezza. Parole simili aveva già avuto nel corso dell’incontro con il Consiglio pastorale parrocchiale quando aveva individuato nella collaborazione, nell’ospitalità e nella missione le parole chiave che caratterizzano l’operato della Parrocchia, osservando come il Sacratissimo Cuore abbia, per il ruolo che svolge sul territorio, un compito gravoso e importante: quello di essere vista un po’ come un esempio, di doversi far carico a volte di molte iniziative e responsabilità. Con una immagine suggestiva, scherzando un po’, aveva invitato a proseguire su questa strada senza orgoglio, nell’umiltà del servizio, come il mite asinello che aveva portato sul dorso Gesù nel suo ingresso trionfale in Gerusalemme.
(Tratto da Millestrade, anno 7 n. 62)