Una voce dalla luce

Omelia nella Trasfigurazione del Signore. XXXIX anniversario del transito del Beato Paolo VI, Basilica di San Pietro - Altare delle Grotte Vaticane
06-08-2017

La festa della Domenica – Pasqua della settimana – è quest’anno accresciuta dalla coincidenza con quella della Trasfigurazione del Signore. Le accomuna il tema della luce. La Domenica, infatti, è, come cantava sant’Ambrogio, «il giorno vero di Dio, sereno di mistica luce» (Inno Hic est dies); nel mistero della Trasfigurazione, per suo verso, il volto di Gesù «brillò come il sole»: un sole che non tramonterà mai, ma che risplenderà per sempre di una luce serena, che non acceca, attira lo sguardo e rallegra per il suo divino fulgore (cfr Pietro il venerabile, Sermo I de Transf.: PL 189, 959).
A noi questa festa è cara anche perché ci ricorda il transito al Cielo del beato Paolo VI, il cui corpo, che poi onoreremo, è deposto in queste Grotte. In una sua biografia egli è definito «il Papa della luce» (cfr C. Siccardi, Paolo VI, Il papa della luce, Milano 2008). Il suo permanente anelito alla luce rimane definitivamente scolpito in quel mirabile «pensiero alla morte» che, quando l’apprendemmo dopo che fu letto nella congregazione generale dei cardinali il 10 agosto 1978, lasciò attoniti e commossi. Prima di allora, io mai avevo udito una testimonianza così alta e profonda, spirituale e carnale insieme ed è cosa che ancora oggi, dopo quasi quarant’anni, mi emoziona. «Camminate finché avete luce – scrisse citando Gv 12, 35. Ecco: mi piacerebbe, terminando, d’essere nella luce».
Rassomigliano, queste parole, all’esclamazione rivolta da Pietro a Gesù trasfigurato: «Signore, è bello per noi essere qui!». Vi riconosciamo il desiderio e l’accoglienza dell’amicizia con il Signore. E Paolo VI ebbe alto il culto dell’amicizia. A leggere i suoi tanti interventi si nota subito come egli unisca abitualmente l’amicizia alla comunione. L’amicizia con Dio, certo e anzitutto, ch’egli intendeva e spiegava alla luce del Suscipe ignaziano; ma pure l’amicizia umana, che non disdegnava illustrare richiamando il de amicitia di Cicerone. Quest’amicizia, anzi, sulla scia della 1Gv Paolo VI la riteneva «esercizio graduale, propedeutico all’amore di Dio» (cfr G. B. Montini, Meditazioni, Roma 1994, 161-163; Udienza del 26 luglio 1978).