Portare il Vangelo coi passi dell’amore

Omelia nella Messa Crismale 2018
29-03-2018
  1. Negli anni passati per l’omelia di questa Messa ho abitualmente scelto temi che si riferivano alla consacrazione del santo Crisma e alla benedizione degli altri Oli: questi riti, infatti, danno una speciale preminenza alla Liturgia che stiamo celebrando. Quest’anno, invece, ho pensato di soffermarmi sulla figura di Gesù, che applica a se stesso le parole del profeta: mi ha mandato a portare il lieto annuncio, ossia evangelizzare (cfr. Lc 4, 18: euaggelisasthai).

Ci domandiamo anzitutto: cos’è che rende lieto un annuncio? Una notizia è gioiosa soltanto per il suo contenuto, o prima ancora per qualcos’altro? Il profeta e l’evangelista aggiungono subito che ci sono dei destinatari: poveri, prigionieri, ciechi, oppressi… È per loro che la notizia è lieta; senza di loro non vi sarebbe gioia. Una notizia è davvero gioiosa quando stabilisce un rapporto, include un farsi vicino, consiste in una relazione d’aiuto, in un’opera di liberazione: termine che nel Nuovo Testamento indica sempre un qualcosa di profondo e mai superficiale; è un’operazione radicale perché si tratta di un perdono in grado di estirpare il peccato (cfr. Lc 1, 77; 3, 33). Ecco, di conseguenza, la questione: come si evangelizza?

La domanda non è sul contenuto dell’evangelizzazione, ma sul modo di evangelizzare. La questione del contenuto è, sia ben chiaro, fondamentale e sempre dobbiamo risentire scritte per noi le parole di Paolo: «se qualcuno vi annuncia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema!» (Gal 1, 9). Non annunciamo, però, il Vangelo, se quella Parola noi la facciamo percepire come «legge» e non come «grazia», come «giudizio» e non come offerta reale di «perdono». Per avvicinarci davvero a Dio dobbiamo farlo non con un passo di paura, ma, come diceva san Gregorio magno, passibus amoris: coi passi dell’amore (Hom. in Ev. II, 19, 11: PL 76, 1219).

Nelle scorse settimane ho ripetuto ai nostri sacerdoti una testimonianza che, letta nel tempo di Quaresima, personalmente mi ha fatto molto pensare. Giunge da una figura eminente della tradizione orientale. Scrive così: «se ci aggrappiamo alla verità, ai princìpi, alle regole, ai doveri, non sapremo mai se stiamo davvero difendendo la verità oppure è l’egoismo che è in noi ad agire […]. Ogni volta che ho difeso la verità me ne sono pentito […]. Invece delle cose fatte o dette per amore mai mi sono pentito. Non ti pentirai mai di aver agito per amore non importa quanto sia grande la perdita apparente, quanto la fisionomia della verità e dei princìpi ne risulti offuscata. L’amore è capace di promuovere se stesso come luce divina. È capace di trasmettere la verità alla persona [che volevi correggere ma che hai deciso di trattare con amore] e di farle conoscere la via più di quanto possa fare tu» (Matta El Meskin, Ritrovare la strada, Qiqajon 2017, 229-230).