Con Lui sul santo monte

Omelia nella Trasfigurazione 2018 – 40° anniversario della morte del beato Paolo VI
06-08-2018

Abbiamo appena ascoltato il ricordo di Pietro: «eravamo con lui sul santo monte». Desidero fermare subito la nostra attenzione su questo particolare. Il Nuovo Testamento non ce ne dice il nome, ma ci dice che quel monte era «alto»; lo era al punto che i discepoli non sarebbero saliti senza l’incoraggiamento di Gesù: «li condusse su un alto monte». Letteralmente: li portò verso l’alto. Sembra quasi che, per farli salire, egli li abbia sollevati, come fa un padre che si carica sulle spalle il figliolo per alleviargli la fatica.

L’altra cosa che sappiamo dal Nuovo Testamento riguardo a quel monte è che era «santo». L’ho ricordato in principio. Pietro scrive: «eravamo con lui», e Marco racconta: li «prese con sé». Per questa ragione, dunque, è «santo», quel monte! Perché non è soltanto un luogo, ma è il testimone di una grande intimità dei discepoli con il loro Maestro: «in disparte, loro soli», annota l’evangelista; soli come si può stare fra persone che si vogliono bene. In fondo, come ha scritto il Papa nell’esortazione Gaudete et exsultate, la santità è vivere in unione con Gesù i misteri della sua vita (cf. n. 20). Non c’è santità a prescindere da Gesù; non c’è santità senza Cristo. «Non si può vivere spiritualmente senza Cristo», disse una volta Paolo VI (Omelia a Orvieto, 11 agosto 1964). L’ho citato, Paolo VI, perché, nella festa della Trasfigurazione noi, qui a Castelgandolfo, non possiamo omettere di ricordarlo.

Paolo VI ebbe sempre un’intima attrazione per il monte della Trasfigurazione. Ci andò pellegrino il 5 gennaio 1964. Sappiamo pure che per il cartiglio del suo stemma episcopale aveva scelto il motto Cum ipso in monte. Ne fu distolto poiché sembrava il programma di un contemplativo e non di un pastore, quale diventava allora per la Chiesa ambrosiana. Se, però, rinunciò a quella scelta araldica, Montini vi rimase sempre fedele con la vita. Fu sempre, secondo un’espressione di san Gregorio Magno, contemplatione suspensus: in «contemplativa sospensione», come amava tradurre (cf. Regula pastoralis II, 5: PL 77, 32; cf. Omelia del 22 agosto 1968 a Bogotá). Per Paolo VI la contemplativa sospensione era una specie di «acrobazia spirituale» motivata da un amore, sapiente e potente, delle cose quae sursum sunt, quelle di lassù (cf. Udienza alle Madri abbadesse e priore dei monasteri benedettini in Italia del 28 ottobre 1966).