La giustizia dell’incontro

Introduzione al Convegno curato dalle Caritas delle Diocesi di Albano e Velletri- Segni
15-11-2019

Il mio compito, incontrandovi questa sera, è salutarvi tutti: chi ha pensato, progettato e organizzato l’incontro; i relatori, che ascolterò volentieri, e voi tutti presenti che avete risposto all’invito. Vogliate permettermi di esprimere, come introduzione, alcune personali considerazioni sul tema.

Ho pensato, anzitutto, che un mio dovere di cittadino italiano sia quello di ricordare il dettato della Costituzione italiana, senz’altro in quella parte dell’art. 27 che così recita: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Il nostro interesse allora si rivolge doverosamente alla funzione della pena nella nostra società. Il teologo tedesco Eugin Wiesnet S. I. (1941-1983) aprì un suo noto saggio su Pena e restribuzione (tr. it. Giuffré, Milano 1987) con queste parole: «Da millenni gli uomini si puniscono e da millenni si domandano perché lo facciano». Qual è, allora, il significato della pena? Il classico Lexicon totius latinitatis del Forcellini collega la parola al termine greco poiné e la descrive come multa (ossia prezzo da pagare in natura, o in denaro) propter homicidium irrogata, id quod quis alteri, quem laeserat, reconciliatur! Da notare lo scopo che questa etimologia assegna alla pena: la riconciliazione fra il reo e la vittima! Ci domandiamo, allora: è ancora questo, per noi, la pena? È un po’ la domanda che aleggia sulla nostra riunione. So bene che sull’argomento già da diversi anni è aperto un dibattito fra gli studiosi e gli esperti del settore, impegnati nel cercare nuove forme di giustizia alternative al paradigma retributivo. A un certo modo d’intendere la pena ha fatto riferimento anche papa Francesco, concludendo lo scorso 6 settembre 2019 la visita apostolica in Mozambico. Nell’omelia durante la Messa celebrata nello stadio di Zimpeto (Maputo) disse: «Gesù, lungi dall’essere un ostinato masochista, vuole chiudere per sempre la pratica tanto comune – ieri come oggi – di essere cristiani e vivere secondo la legge del taglione. Non si può pensare il futuro, costruire una nazione, una società basata sull’ “equità” della violenza. Non posso seguire Gesù se l’ordine che promuovo e vivo è questo: “occhio per occhio, dente per dente”. Nessuna famiglia, nessun gruppo di vicini, nessuna etnia e tanto meno un Paese ha futuro, se il motore che li unisce, li raduna e copre le differenze è la vendetta e l’odio».