La sua deformità, la nostra bellezza

Omelia nell’azione liturgica del Venerdì Santo 2020
10-04-2020
  1. «Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi… come uno davanti al quale ci si copre la faccia»: sono le parole del profeta che abbiamo ascoltato questa sera. I più antichi rabbini d’Israele ritenevano che fosse la descrizione del Messia, il quale sarebbe stato riconoscibile dalle forme di un lebbroso seduto alle porte di Roma (cf. Talmud Babilonese, Sanhedrin 98a). Per noi cristiani si tratta di Gesù.

Fra poco ascolteremo un annuncio: Ecco il legno della Croce, al quale fu appeso il Salvatore del mondo! Ci volgeremo, allora, alla Croce di Cristo, perché anche di noi è scritto: volgeranno lo sguardo a colui che è stato trafitto (cf. Gv 19,37). Nell’antica liturgia della Settimana Santa c’è un responsorio che dice così: «Ecco, l’abbiamo veduto: non ha né forma né avvenenza: non c’è bellezza in lui. Questi è colui che ha portato i nostri peccati e soffre per esserci d’aiuto. Egli è stato schiacciato per le nostre iniquità, per le sue piaghe noi siamo stati guariti». Quello, dunque, che oggi dobbiamo fare è soprattutto guardare. L’immagine del Crocifisso quest’anno non possiamo baciarla, ma possiamo guardarla! Ecco, l’abbiamo veduto! La vista è il senso dell’amore. Ubi oculus ibi amor, dicevano i medievali e Riccardo di san Vittore spiegava: «Dove c’è l’amore lì c’è lo sguardo; guardiamo, infatti, con piacere quello che molto amiamo» (Benjamin minor, 13: PL 196, 10).