Miti e umili

Omelia per la XXVIII Giornata Mondiale del Malato
12-02-2020
  1. «Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi» (Mt 11,28). Questo è l’invito di Gesù. Egli pensa – ritengo – a due tipi di sofferenza. Anzitutto a quella stanchezza interiore, che deriva dalla nostra personale fragilità, fisica o morale. Talvolta si tratta di una malattia fisica che ci debilita e ci preclude orizzonti di speranza; altre volte è un’ansietà, un disagio, un turbamento interiore che ci deprimono. L’altra sofferenza è quella che deriva dall’esterno e che è tradotta, giustamente, con «oppressione». È come un peso che ci viene posto sulle spalle e potrebbe schiacciarci. Da chi proviene? Molte volte da altre persone, o da circostanze avverse, o come conseguenza di scelte sbagliate. Sono le due forme di sofferenza che Gesù considera e a chi le sente come proprie dice: Vieni a me!

Tante volte, durante la sua vita terrena, Gesù si è incontrato con queste sofferenze. Egli ha guarito tanti malati. Se leggiamo i racconti del vangelo vediamo che anche in percentuale le opere di guarigione sono prevalenti; altre volte ha liberato uomini e donne da malattie interiori, derivanti da un peccato, o anche da una misteriosa forza di male. Gesù guariva. Non si riteneva, però, un «guaritore». È sintomatico che a volte abbia detto: la tua fede ti ha salvata. Altre volte la guarigione è stata un restituire la gioia. Per questo Egli dice: «Vi darò ristoro». Letteralmente il verbo indica l’interruzione di un lavoro: una ricreazione! È questo Gesù, per noi. Non è forse di questo, che tutti noi abbiamo più bisogno?