Spirito di misericordia e dei misericordiosi. Omelia nella Veglia di Pentecoste, 14 maggio 2016

14-05-2016
1. «L’amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo datoci in dono»: questa parola apostolica, che ci guida nella Veglia di Pentecoste, è tratta dalla lettera ai Romani (5, 5) e vede impiegato il verbo «effondere» (eckchynomai), che ci rimanda al versamento dei liquidi, come il vino, l’acqua o il sangue. A questo medesimo verbo ricorre il Vangelo di Marco quando narra la cena del Signore. Egli dice: «Questo è il mio sangue dell’alleanza versato per voi» (Mc 14,24. Lo Spirito è effuso come il sangue di Gesù! Ed è un sangue che, come ci spiega il quarto evangelista, mescolato con acqua porta in sé il dono dello Spirito. È il dispiegamento dell’eterna e infinita misericordia di Dio per noi, perché Cristo è morto per noi quando eravamo ancora peccatori! Anche l’amore di Dio, effuso nei nostri cuori mediante lo Spirito è misericordia Riconosciamolo con gratitudine, perché quell’effusione avvenuta sul Golgota venti secoli or sono continua a produrre i suoi effetti ancora oggi per noi.
Amore di Dio, sangue di Cristo, dono dello Spirito: ecco l’effusione di cui stiamo parlando. Da questa pioggia della misericordia di Dio non dobbiamo proteggerci, come la pioggia naturale che viene dalle nubi. Non possiamo e non dobbiamo ripararci da essa; dobbiamo, anzi, lasciare che ci inzuppi, come fece Renzo nel racconto de «I promessi sposi». Scrive, difatti, il Manzoni che, appena oltrepassata la soglia del lazzeretto dove finalmente aveva ritrovato sana e salva la sua Lucia, per quanto fosse giunta improvvisa una vera e propria scarica di goccioloni, prima radi ma impetuosi e poi ben presto fitti sicché «la veniva giù a secchie», «Renzo, in vece d’inquietarsene, ci sguazzava dentro, se la godeva in quella rinfrescata» (cap. XXXVII). Anche noi viviamo in perfetta letizia l’effusione dell’amore di Dio nei nostri cuori.
 
2. Cosa è la Pentecoste? Vorrei ricordarlo con le parole della IV preghiera eucaristica del nostro Messale: «Perché non viviamo più per noi stessi, ma per lui che è morto e risorto per noi, hai mandato, o Padre, lo Spirito Santo, primo dono ai credenti, a perfezionare la sua opera nel mondo e compiere ogni santificazione (omnem sanctificationem compleret)». Desidero indugiare su queste parole, perché in qualche maniera mi fanno tornare alla memoria il racconto della creazione nei sei giorni. Anche nell’opera della salvezza mi pare che Iddio abbia proceduto giorno dopo giorno, fase dopo fase: una alla volta, quasi per gradi e pian piano, onde permetterci di assorbirli tutti, i suoi doni, senza che alcuno vada perduto.
Mi sovviene quel che scrive san Giovanni della Croce: «Perché nel donarci, come ci ha dato, il Figlio suo, che è una Parola sua e non ne ha un’altra, ci ha detto tutto ed in una volta sola in questa unica Parola, e non ha più niente da dire» (Salita del Monte Carmelo, II, 22, 3). Ed è vero, è davvero così che Dio non ha più nulla da dirci. Egli, però, ancora qualcosa da darci ed ecco l’ultimo dono, lo Spirito altissimi donum Dei come cantiamo nell’Inno Veni creator. Fattoci questo Dono, che è al di sopra di ogni altro dono e nel quale tutti i doni sono racchiusi, ora Dio non ha più nulla da darci. È la completezza, il completamento: il fine e la fine di ogni dono.
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