La misericordia come criterio pastorale. Omelia nell’Ordinazione presbiterale di Nicola Riva, 25 aprile 2014

25-04-2014

1. Ogni anno, quando si celebra la Messa Crismale, è proclamato il testo di Isaia al punto in cui il profeta descrive la sua vocazione e la sua missione in termini di effusione dello Spirito e di promulgazione di un «anno di grazia» del Signore (cf Is 61-1-2). Questo «anno» 'ed è pure quello che stiamo vivendo ' è un tempo di misericordia, di benevolenza, di aiuto e di soccorso. Quando ci avviciniamo a Dio a cuore aperto e in umiltà, lo avvertiamo ogni volta così: «Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e di fedeltà '» (Es 34,6).

Quando dall'abisso della nostra povertà noi invochiamo l'abisso della misericordia di Dio, allora egli ci risponde ed è la salvezza del nostro volto (cf. Agostino, Enarr. in Ps. 41, 13-19: PL 36, 472-476). Anche la Chiesa di Albano dalla grandezza del suo bisogno oggi invoca l'aiuto di Dio. Ed ecco che il Padre delle misericordie le risponde! Quest'anno, con la serie di ordinazioni al ministero sacro che oggi comincia, ella fa davvero un'esperienza unica della salvezza del Signore: quattro ordinazioni presbiterali e altrettante al diaconato nell'arco di poche settimane! Carissimi, viviamo insieme e nella gioia quest'esperienza di Dio e siamone riconoscenti.

Ci aiuta la parola con la quale Nicola ha inteso come condensare la grazia di cui il Signore lo ha rivestito ed è la parola di Gesù: «Nessuno ha amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). La «misura» di quest'amore l'abbiamo contemplata la scorsa settimana, nella passione di Cristo. Essa, come scrive un autore medievale, è opus sine exemplo, charitas sine modo, donum sine pretio, gratia sine merito (Pietro di Blois [+1203ca], Sermo XIX. In coena Domini: PL 207, 614). In poche parole, l'amore di Gesù per noi è inedito (sine exemplo), smisurato (sine modo), inestimabile (sine pretio) e gratuito (sine merito). E tutto questo ha sempre lo stesso nome: misericordia.

 

2. Nella seconda lettura abbiamo ascoltato come l'apostolo San Paolo abbia pensato a se stesso come ad un canale attraverso il quale la misericordia di Dio giunge agli uomini: Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo ha affidato anche a me il ministero della riconciliazione (cf. 2Cor 5,18). Per comprendere di cosa si tratti possiamo guardare alla mirabile l'immagine del «Cristo dileggiato», che Nicola ha scelto per partecipare l'annuncio della sua ordinazione sacerdotale. Quest'immagine, peraltro, è come il manifesto per l'Opera di Nazaret, ch'è la famiglia spirituale ed anche naturale di Nicola.

In questo notissimo affresco, il Beato Angelico s'ispira al testo evangelico che dice: «Alcuni si misero a sputargli addosso, a bendargli il volto, a percuoterlo e a dirgli: 'Fa' il profeta!'. E i servi lo schiaffeggiavano» (Mc 15, 65). Il Redentore è raffigurato come il Christus patiens, con gli occhi chiusi che s'intravvedono sotto la benda che avvolge il capo. Attorno a lui non ci sono persone, ma frammenti di umanità: un volto che sputa, mani che schiaffeggiano, che per irridere tolgono il cappello, che brandiscono un bastone e percuotono ' è l'uomo in frantumi. È forte e violento, ma a pezzi. Cristo, al contrario, mite e muto come un agnello, è composto nella sua dignità regale. Solo lui è in grado in grado di ricomporre i frammenti umani. La riconciliazione è la «ricomposizione» di questo tragico puzzle in cui l'uomo è esploso, delle schegge umane nelle quali l'uomo si è disperso. E questo si fa con misericordia.

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