Omelia nel XXXIV anniversario della morte del Servo di Dio Paolo VI – Trasfigurazione del Signore – 6 agosto 2012

06-08-2012

La festa della Trasfigurazione del Signore ci permette, oggi, di considerare e quasi visivamente ripercorrere l'acclamazione, che ogni volta ripetiamo nel momento centrale della Santa Messa: «Annunciamo la tua morte, Signore: proclamiamo la tua risurrezione, nell'attesa della tua venuta». Della sua morte e risurrezione, infatti, ne parla Gesù stesso ai discepoli che aveva scelto come suoi testimoni oculari. Nella Trasfigurazione, poi, come fra poco canterà il Prefazio, è anticipata la meravigliosa sorte della Chiesa, mistico corpo del Salvatore.

Sono molti i dettagli del brano evangelico su cui potremmo soffermarci. Ne preferisco uno, che è segnalato proprio all'inizio del racconto, dove si legge che Gesù prese in disparte con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li trasportò «su un alto monte». Il mese scorso sono tornato nella Terra Santa e mi sono ancora una volta recato, insieme coi pellegrini, sul Tabor. È l'altura che, in piena Galilea, si erge solitaria nella pianura di Esdrelon, a poca distanza da Nazareth. Qui, secondo un'antichissima tradizione risalente al III secolo, è individuato il luogo in cui Gesù si trasfigurò davanti agli sguardi stupiti dei tre discepoli. Vi si recò pellegrino anche il Servo di Dio Paolo VI e quella presenza così singolare è ricordata da un busto di bronzo, collocato tra i fiori davanti al terrazzo dove il Papa, il 5 gennaio 1964, dopo avere pregato contemplò uno splendido tramonto sul lago di Genezareth.

Il Vangelo, però, non ci dice il nome di quel monte, ma sottolinea piuttosto che esso era «alto». Ci suggerisce, così, di riconoscervi il simbolo della sfera di Dio che si apre sulla storia umana. Su quel «monte» non si sale con le forze umane, né su quella cima è possibile fare una scalata come fanno gli alpinisti sulle nostre montagne. Bisogna esservi innalzati. Ed è quello che fa Gesù coi tre apostoli. Li trasferisce in alto con sé.

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