Omelia nella II domenica di Pasqua – in albis

Rito di Ammissione fra i candidati al ministero sacro del seminarista Marcin Swiatek
18-04-2009

1. Abbiamo appena ascoltato il racconto di come l'apostolo Tommaso 'attraverso le cicatrici delle ferite che Cristo gli offrì di toccare nella sua carne, vide ciò che non voleva credere e credette' (SANT'AGOSTINO, In Io. ev. Tract. 122, 1). Abbiamo pure ascoltato la seconda e ultima beatitudine conservata nel Vangelo secondo Giovanni: 'Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto'. Evidentemente, è proprio su questo che la Liturgia di questa seconda Domenica di Pasqua intende indirizzare la nostra attenzione, se come seconda lettura è stato scelto un brano della Prima Lettera di Giovanni, dove risuonano queste altre espressioni: 'Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa'.
Possiamo allora domandarci: cosa è questo credere senza vedere? Si tratta, forse, di quella che è chiamata 'fede cieca', ossia di una fede immotivata, irragionevole e senza fondamento? È per questo tipo di fede che il Signore proclama la beatitudine? Non possiamo nasconderci secondo una opinione comune la fede sarebbe proprio così: contraria alla ragione. Forse un po' tutti noi conosciamo la 'vecchietta', di cui scriveva Trilussa in una sua poesia. A lui, che s'era perduto in mezzo al bosco, apparve un vecchietta cieca che, tuttavia, si offrì di accompagnarlo e gli disse: 'Se ciai la forza de venimme appresso,/ de tanto in tanto te darò una voce/ fino là in fonno, dove c'è un cipresso,/ fino là in cima, dove c'è la Croce...'. Il poeta trovò strano che potesse guidarlo proprio una che non ci vede, ma conclude così: 'La Ceca, allora, me pijò la mano/ e sospirò: - Cammina! -/ Era la Fede'. Chi è un po' più grande in età probabilmente ricorderà che il Papa Giovanni Paolo I riferì questa poesia nell'Udienza Generale del 13 settembre 1978 e commentò dicendo che quella di Trilussa era graziosa come poesia, ma che come teologia era difettosa. Una spiegazione l'aveva data lo stesso Albino Luciani in una delle sue 'lettere' inserite nella raccolta intitolata Illustrissimi, dove chiariva che la fede è una buona guida solo quando 'ha ormai messo radici come convinzione nella mente e di là pilota e dirige le azioni della vita'.
È proprio quello che accade a Tommaso. Noi non vogliamo entrare nella discussione se egli abbia davvero steso, o no la sua mano per metterla nel fianco del Signore, o il suo dito per inserirlo nelle sue ferite. Gesù, però, ' come abbiamo ascoltato ' elogia Tommaso non perché ha toccato, ma perché, avendo visto, ha creduto!
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