Omelia nella Messa di Natale

25-12-2003

OMELIA

Messa della Notte di Natale 2003

 

Giunge a compimento, in questa Notte, l'attesa che ha spiritualmente animato il tempo dell'Avvento. Attendere è l'atto di chi spera; attesa, poi, è uno dei nomi della speranza e l'uomo è un essere di speranza. Riconosceva la saggezza antica che se all'uomo si toglie la speranza, gli si sottrae ogni forza di lottare, d'andare avanti (Seneca). Sant'Agostino ammoniva che persino la fede viene meno, se manca la speranza ('Tolle spem et deficit fides', Sermo 359A) giacché alla nostra situazione di pellegrini è necessaria la speranza. È la speranza, infatti, che dà conforto lungo la via. Il viandante, quando s'affatica nel cammino sopporta la stanchezza appunto perché spera di raggiungere la meta. Strappagli la speranza di giungervi e immediatamente crollano le possibilità di andare avanti (cfr. En. in ps. 158, 8). Tolle spem, torpet humanitas tota: senza la speranza l'umanità intera s'assopisce ed è presa da un mortale torpore (Zenone di Verona).

Il racconto evangelico, però, ci ha presentato uomini che nella notte vegliavano. Si tratta di uomini semplici e umili. Erano certamente uomini di speranza, perché l'umiltà fa da battistrada alla speranza. L'umiltà, lo ha ricordato il Papa nella preghiera dell'Angelus di domenica scorsa, è col silenzio, lo stupore e la gioia una delle parole-chiave del Natale.
 
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