OMELIA nella professione dei Voti Solenni di Sr. M. Daniela Moriconi, monaca clarissa

16-11-2008

1. Conclusa la parabola, che abbiamo ascoltato, la sequenza del Vangelo prosegue così: “”Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria'”” (Mt 25,31). Il brano riservato per noi da questa penultima Domenica dell'anno liturgico ha esordito, invece, raccontandoci di un uomo che, al momento di partire per un viaggio, consegnò ai servi i suoi beni (cf. v. 14). Siamo, allora, in un tempo d'intervallo, come in una condizione d'attesa. Ma non in una fase di stallo, durante la quale si sta senza far niente.

All'ultimo servo non basteranno gli occhi per piangere la sua scelta di fare proprio così. “”Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra””! È una storia antica. Anche Adamo disse così: Ho avuto paura e mi sono nascosto (cf. Gen 3,10). Così è stato anche per questo servo. La paura lo ha bloccato e in qualche modo anch'egli si è nascosto in una buca, insieme col denaro del suo padrone. Invece di operare, se n'è stato fermo, inerte. È divenuto un accidioso: con l'animo addormentato, senza passione alcuna, sempre annoiato, al limite della depressione. La sua colpa vera? L'accidia ' o “”pigrizia”” ' è, nella tradizione cristiana, spesso rimproverata ai monaci, ma è uno dei vizi capitali che costituisce un pericolo per ogni cristiano (cf. CCC, n. 1866).

Ma il servo della parabola ha fatto di peggio. Non si è fidato del padrone. Lo ha ritenuto un “”duro””, sklerós come scrive nel suo greco il Vangelo secondo Matteo e perciò (chissà che non abbia immaginato anche questo!) pure un po' sclerotico, strano, imprevedibile' Così pensando, si è rovinato la vita. Se, invece, avesse capito che quel padrone era un Dio fedele, dal cuore immenso, smisurato al punto da poterlo accogliere dentro di sé' la sua sarebbe stata una storia diversa!

2. Quando mai un cuore umano sarà talmente grande da potervi fare entrare tutte le gioie? L'uomo avrà sempre un cuore bisognoso, ogni volta, di qualcos'altro. Cor humanum, cor indigens, scriveva sant'Anselmo a conclusione del suo Proslogion. Non serve, se è così, aggiungere gioia a gioia. Continuava, per questo: tutto il gaudio non potrà mai entrare in coloro che gioiscono; tutti quelli che gioiscono, però, possono entrare nella gioia (Non ergo totum ['] gaudium intrabit in gaudentes, sed toti gaudentes intrabunt in gaudium: cf. cap. 26)! Ecco, allora, la stupenda rivoluzione operata da Gesù col suo servo buono e fedele. Gli dice: “”entra nella gioia”” ed è questo che conta: stare dentro la gioia.

...

“”