Omelia nella Solennità di San Pancrazio, 12 maggio 2010

12-05-2010

1. La solennità di San Pancrazio, patrono della Città e della Diocesi di Albano ci vede nuovamente insieme nella nostra Basilica Cattedrale per ringraziare e lodare il Signore, dal quale, come canta un antico Prefazio nella festa del nostro Santo, 'chi ha fiducia attinge la perseveranza e chi è debole riceve la forza. Perciò, chi confessa il tuo Nome Tu l'aiuti a vincere la violenza delle persecuzioni e la paura della morte' (Quoniam a te constantiam fides, a te virtutem sumit infirmitas. Et quicquid in persecutionibus saevum est, quidquid in morte terribile, nominis tui facis confessione superari: Gelasianum Engolism n. 957 VD, In Natali Ss. Nerei, Achillei et Pancratii; cf. pure PL 121, 909). Oggi, dunque, noi vogliamo sinceramente rinnovare la devozione, che da tanti secoli Albano riserva a questo Martire; di sicuro, cioè, dall'VIII secolo poiché in quell'epoca appare già a lui intitolata la Cattedrale, quando il papa Leone III la fece ricostruire dopo che, per ignote ragioni, andò distrutta dalle fondamenta sino al tetto insieme con l'episcopio (cf. PL 128, 1243).

La tradizione agiografica racconta che Pancrazio, giovinetto di quattordici anni, non fu condotto al martirio da solo, ma insieme con lo zio paterno, del quale i martirologi tramandano il nome di Dionigi. In un poemetto scritto in esametri latini, Flodardo di Reims (894-966) narra che quando Pancrazio fu condotto al supplizio, c'erano molti che attorno a lui cercavano di fargli rinnegare la fede cristiana. Lo zio, al contrario, che era il suo padrino perché l'aveva preparato al Battesimo, ancor di più lo confortava nell'amore per Cristo, né si allontanò finché la vita del ragazzo non si spense insieme col finire del giorno. Dopo il giovinetto, anch'egli subì il martirio e insieme col nipote morì nella pace ed entrò nella gioia del paradiso (De triumphis Christi apud Italiam VII, 3: PL 135, 713-714; cf. pure il Martirologio Adone di Vienne, in PL 123, 265).

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