Omelia per il Pellegrinaggio a Roma

26-01-2002

OMELIA

 

 

Venire a Roma, fratelli ed amici, per tutti noi significava venire qua, giungere presso la Cattedra di Pietro e raccoglierci attorno a quest'altare, in questa Basilica edificata sulla tomba dell'Apostolo cui Gesù ha affidato le sue speranze e i suoi impegni per la Chiesa, il suo mandato: su questa 'pietra' edificherò la mia Chiesa' conferma i tuoi fratelli' pasci i miei agnelli e le mie pecore (cfr Mt 16, 18; Lc 22, 32; Gv 21, 15ss).

 

Roma è per noi celsum verticem devotionis, come inneggiava sant'Ambrogio, ossia l'eccelsa vetta di devozione, fondata sul sangue di Pietro e sulla profezia di Paolo (cfr. Inno Apostolorum passio). Questa città è la Roma nobilis, cantata dagli antichi pellegrini e salutata come città gloriosa fra tutte, perché 'arrossata dal sangue purpureo dei martiri'.

 

In questa Città e in questo Tempio che nella sua magnificenza esteriore e nella sua stessa ampiezza è, come diceva Paolo VI, 'un solenne atto di fede' un inno solenne, il cui senso profondo ciascuno può e deve cercare' (Catechesi del 6 giugno 1965), qui la Parola di Dio ci raggiunge in una espressione nella quale sono intrecciate la tenerezza di un caro ricordo, la sollecitudine come di una madre e l'autorevolezza di un padre: 'Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te'' (2Tim 1, 6). In queste parole, diceva San Giovanni Crisostomo, c'è il cuore di Cristo.

 

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