Chiesa in cammino

Col titolo “Chiesa in cammino”, sono state pubblicate dalla casa editrice diocesana MiterThev le sintesi elaborate dagli consigli pastorali vicariali sul materiale prodotto dal lavoro di discernimento dei Consigli parrocchiali, in ciascuna comunità, e le reazioni del vescovo Marcello Semeraro alle stesse relazioni, condivise in otto incontri tra fine marzo e inizio aprile scorsi.

Riportiamo, di seguito, una breve sintesi (tratta dal n° 112 del mensile diocesano “Millestrade” di maggio 2019) delle risposte che il vescovo di Albano, Marcello Semeraro, ha offerto agli otto Vicariati territoriali della diocesi, al termine della presentazione delle sintesi vicariali sul tema del discernimento comunitario “Tra il dire e il fare. Un discernimento incarnato e inclusivo”.

Nettuno
Abbandono di una pastorale accidiosa, territorialità della parrocchia, integrazione e sinodalità sono gli aspetti sottolineati dal vescovo Semeraro in risposta alla relazione presentata dal Vicariato territoriale di Nettuno. «L’accidia – ha scritto il vescovo – è la caduta del desiderio, ma è anche un attivismo incontrollato e inconcludente. Per contrastarla e vincerla voi giustamente dite che i progetti pastorali non debbono mai perdere il contatto con la realtà». Un’altra sottolineatura riguarda la territorialità della parrocchia. «Il progetto pastorale – ha detto Semeraro – deve sempre essere calato in una realtà concreta: il territorio. In Evangelii gaudium lo ha sottolineato anche Francesco. Avete, ad esempio, ipotizzato di trasferire al vicariato tutto il bagaglio teologico, ecclesiologico, giuridico e pratico che oggi abbiamo sulla parrocchia. La proposta non è davvero da trascurare. Avrete, peraltro, sentito parlare di alcune soluzioni di riorganizzazione pastorale sul territorio, come le unità pastorali. Intanto, è utile passare dalla semplice collaborazione ad una più efficace integrazione. Al sogno di questo “noi” è possibile anche dare il nome di sinodalità».

Ariccia
Rispondendo alle sollecitazioni delle sintesi presentate dal Vicariato territoriale di Ariccia, monsignor Semeraro ha indicato «Due cose che dobbiamo fare anche noi, oggi. La prima – ha detto il vescovo – è stare concordi nello stesso luogo, che è stare nella Chiesa diocesana non come corpo morto, ma come membra vive e vivaci; la seconda è stare nell’agorà per testimoniare al mondo un annuncio concentrato sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario». Semeraro, tuttavia, ha tenuto prima a puntualizzare un rischio relativo alla parola sinodalità, ossia che possa diventare una nuova parola di moda e possa andarne perso il significato misterico: «Che è tutto – ha spiegato Semeraro – in quella preposizione syn che è l’opera dello Spirito. Nella sinodalità il “cammino” dobbiamo farlo noi, sotto la guida dello Spirito, ma il “con” è tutta opera dello Spirito. Se non è lo Spirito a metterci e a tenerci insieme, non andiamo da nessuna parte». È nella parrocchia, “cellula della Chiesa”, ha aggiunto il vescovo, che occorre anzitutto essere concordi e nello stesso luogo. Stare nell’agorà, infine, presuppone l’andare in ricerca dei “lontani”, da avvicinare alla Chiesa.

Pomezia – Ardea
La nascita di nuove relazioni e legami, insieme al desiderio di lavorare e camminare insieme, con serietà, è l’aspetto da cui è partito il vescovo Semeraro per rispondere alla relazione presentata dal Vicariato territoriale di Pomezia-Ardea: «Come stella – ha scritto Semeraro – avete scelto la sinodalità, ma la sinodalità non è la celebrazione di un sinodo: “sinodo” è una istituzione, “sinodalità” è uno stile, un processo vissuto nella faticosa tensione fra il «procedere» (-odos) e il vivere, o stare «insieme» (-syn). Occorre, pertanto, avere sempre presenti le ragioni del vivere insieme nella Chiesa, ossia fondamentalmente il valore della comunione». Pertanto, occorre favorire momenti di incontro, condivisione, confronto e collaborazione degli operatori pastorali. Altro elemento sottolineato è la funzione della parrocchia, non quale luogo dove si va, ma «Realtà dove si vive – ha detto il vescovo – dove si stabiliscono relazioni! La parrocchia è il luogo dove si vive la cultura dell’incontro. È un tema caro a Papa Francesco. Come quello per cui la Chiesa è una comunità che si prende cura; potremmo dire anche una comunità sanante». Infine, Semeraro ha rivolto un invito a creare relazioni con le altre agenzie educative del territorio per curare la Pastorale giovanile.

Anzio
Dal territorio come “vocazione” è partita la riflessione di monsignor Semeraro in risposta alle sintesi presentate dal Vicariato territoriale di Anzio, centrata sia sulle peculiarità del territorio che sul ruolo che vi possono svolgere i laici: «Ascoltandovi – ha detto il vescovo – il mio pensiero è andato spontaneamente a un passaggio della costituzione sulla Chiesa del Vaticano II, Lumen gentium, e in particolare al capitolo III laddove si parla dei laici. I laici hanno da svolgere un compito che, per quanto non in forma esclusiva, appartiene ordinariamente a loro ed è quello di rendere manifesta nella propria storia personale, familiare e comunitaria che tutta la realtà creata è aperta a Dio ed ha nel suo amore il proprio compimento». Un compito da svolgere in un territorio che, nello specifico di Anzio è multietnico, multiculturale e multireligioso: «Esistono quartieri e parrocchie periferiche – ha sottolineato Semeraro – ed è territorio di immigrazione… Avete pure detto che questo vi chiama ad essere accoglienti e disponibili a integrare; avete anche sottolineato che tutto ciò può diventare fonte di arricchimento umano e non soltanto come problema economico e sociale. Anzio, a ben vedere, è per molti aspetti terra di periferia. Ora, la domanda è questa: che non sia «vocazione» anche tutta questa multietnicità, multiculturalità e multi religiosità? Ivi sono da Dio chiamati».

Marino
Con un iniziale riferimento al tema del territorio, filo conduttore dell’intera reazione, il vescovo Semeraro ha avviato la riflessione in risposta al Vicariato territoriale di Marino: «Parlando di territorio – ha detto il vescovo – avete molto spesso sottolineato anche l’importanza del rapporto con le istituzioni e le realtà locali. Questo è positivo e ci riconduce a quella che oggi si preferisce chiamare “pastorale integrata”. Si rende, perciò, necessario stabilire sul territorio rapporti nuovi con le diverse realtà: non soltanto quelle ecclesiali, ma con tutte quelle che hanno a cuore la cultura della persona umana. Pastorale integrata, dunque, richiede di mettere in rete le molteplici risorse umane, spirituali, culturali e pastorali di cui si dispone. Da qui la disponibilità a mettersi accanto a chiunque ha a cuore la cultura dell’uomo». Ne deriva il dovere di camminare con tutte le agenzie educative che hanno a cuore l’uomo: «Nel mondo, ossia nella città – ha aggiunto Semeraro – non ci siano solo noi, cristiani. Ci rendiamo, anzi, ancora più conto di essere sempre più una minoranza. Ma il Signore non ci ha chiesto di essere una “maggioranza”, bensì di essere come il lievito, il fermento nella massa. Le parrocchie sono nate per esprimere il legame della Chiesa con un territorio».

Albano
La fine della cristianità – o più propriamente della fine di un certo modo di essere cristiani – è stato il primo argomento trattato dal vescovo Semeraro insieme al Vicariato territoriale di Albano. Un secondo punto trattato è stata la realtà della parrocchia, vista nel passato come punto di riferimento e incontro e desiderata per il futuro quale polo aggregante. «È una immagine bella di parrocchia – ha puntualizzato il vescovo – a una condizione però: che questo si riferisca anzitutto al sapersi convocati e ritrovarsi raccolti attorno alla mensa eucaristica. In una lettera ai fedeli di Oria ho definito la parrocchia “stazione missionaria”, intendendo l’esatto contrario di una stazione di servizio, un supermercato per rifornimenti spirituali. Nella stazione certamente ci si ferma, ma per partire. Si tratta di avere vivo il senso della missionarietà cominciando a privilegiare la pastorale dei pascoli ad una pastorale dell’ovile, ossia con privilegiata attenzione all’evangelizzare rispetto alla gestione del presente». Infine, Semeraro ha sottolineato l’importanza dei laici e di una duplice finalità della loro formazione: «Per un verso – ha detto – la formazione degli operatori pastorali nelle sue dimensioni spirituale, intellettuale e pastorale; per un altro aspetto, un impegno formativo che guardi alla crescita della qualità testimoniale della fede cristiana».

Aprilia
Rispondendo alle sollecitazioni del Vicariato territoriale di Aprilia, monsignor Semeraro ha sottolineato subito l’immagine di Chiesa come lievito nella farina, usata nella sintesi vicariale per rimarcare l’importanza dell’accompagnamento nei diversi aspetti dell’azione pastorale e collegata dal vescovo con il tema discernimento, che trova la sua spinta iniziale nel desiderio. «Il desiderio – ha detto il vescovo – denota una mancanza, un’assenza; proprio da questo vuoto, tuttavia, nasce una spinta. E sotto il profilo del nostro essere Chiesa, direi pure che non dobbiamo avere paura dei nostri piccoli numeri (il lievito) e neppure delle nostre carenze (de-sidera). Dobbiamo, piuttosto, mentre domandiamo perdono, conservare la fiducia e l’impegno di maturare e di crescere. Stiamo scoprendo tante nostre povertà… Proprio da questa consapevolezza, però, deve nascere il desiderio di riveder le stelle». Di “stelle” che guidano la pastorale, nella relazione ne sono indicate cinque: il rapporto laici-presbiteri, il lavoro a livello vicariale, l’impegno del Consiglio pastorale vicariale; la concezione della Chiesa come casa aperta al Padre; l’importanza dell’oratorio; i percorsi di accompagnamento delle nuove generazioni. «In questa costellazione – ha sottolineato Semeraro – voi avete individuato la Diocesi come la stella polare. Vorrei confermare questa vostra intuizione».

Ciampino
«Occorre trasformare le difficoltà in opportunità, cogliendo l’occasione per avviare dei laboratori pastorali». È l’invito rivolto dal vescovo Semeraro al Vicariato territoriale di Ciampino, nella cui relazione erano evidenziate una scarsa percezione dell’identità del territorio e una certa difficoltà nel camminare insieme da parte di tante realtà presenti nelle parrocchie. «Per molti aspetti – ha detto il vescovo – questo è un territorio unico: non mancano situazioni periferiche e, per quanto ci riguarda pastoralmente, è un dato interessante. Le difficoltà del Vicariato dobbiamo trasformarle in opportunità; esse, anzi, ci offrono l’occasione per farne un laboratorio pastorale». Il primo input è di uscire verso le periferie, un secondo di riscoprire l’identità delle parrocchie: «La parrocchia – ha sottolineato Semeraro – è un “luogo” pastorale e non, invece, un “non-luogo”, dove ciascuno espone la propria bancarella, salvo poi richiedere dal prete i servizi che occorrono. Quando tratta della pastorale integrata, la nota pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia (2004) fa un opportuno riferimento anche ai movimenti e alle nuove realtà ecclesiali, che non devono intendersi alternativi alla parrocchia, la quale ha senz’altro un debito di ospitalità, ma anche di guida pastorale secondo le direttive del Vescovo e del cammino pastorale della diocesi».