14 agosto 2025

San Massimiliano Maria Kolbe – presbitero e martire

 

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello». Terminati questi discorsi, Gesù lasciò la Galilea e andò nella regione della Giudea, al di là del Giordano (Mt 18, 21-19,1).

Pietro propone un limite “generoso” (sette volte), ma Gesù lo dilata infinitamente: “settanta volte sette” è una cifra simbolica per dire: sempre. Il perdono cristiano non è aritmetico, ma qualitativo: nasce da un cuore che sa di essere stato perdonato. Gesù narra la storia di un re che condona un debito immenso (10.000 talenti = milioni di euro) a un servo, il quale però non è capace di fare lo stesso con un suo collega per una somma modesta (100 denari). Chiave interpretativa: il debito simboleggia il nostro peccato verso Dio, che ci è perdonato gratuitamente e totalmente. Il servo che non perdona il fratello mostra di non aver compreso il dono ricevuto. Per questo, il perdono di Dio non è un automatismo: va accolto e testimoniato. Il finale è duro: «Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore». Il perdono deve essere autentico, “di cuore”, non solo formale. Con Mt 19,1 si chiude il quarto grande discorso di Gesù nel Vangelo di Matteo (il “discorso ecclesiale” o “comunitario”, Mt 18). La nota geografica («Gesù lasciò la Galilea…») indica un passaggio simbolico: Dalla formazione della comunità (Galilea, luogo dell’annuncio) si passa al cammino verso Gerusalemme, luogo della prova definitiva dell’amore: la croce. La comunità cristiana è luogo di perdono reciproco. Non può vivere di rancori, vendette, conti in sospeso. Il perdono non è un atto spontaneo o naturale, ma una risposta alla misericordia ricevuta. Chi si sa perdonato, perdona. Il cuore della vita ecclesiale non è l’organizzazione, ma la logica della grazia. Gesù invita i suoi discepoli a una conversione del cuore, che porta a vivere rapporti nuovi, fondati sulla misericordia e sulla riconciliazione (Don Gian Franco Poli).