mercoledì Santa Brigida compatrona d’Europa
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli» (Gv 15, 1-8).
Questo brano fa parte dei cosiddetti discorsi di addio di Gesù durante l’Ultima Cena (Gv 13–17). Dopo aver annunciato la sua partenza, Gesù rassicura i discepoli e li invita a rimanere uniti a Lui, perché solo da questa comunione scaturisce la vera vita. Nel IV Vangelo, Gesù usa più volte l’espressione “Io sono”, che richiama il nome di Dio rivelato a Mosè (cf. Es 3,14). Dire “Io sono la vite vera” è rivelare la sua identità come fonte della vita autentica. Nella Bibbia, la vite era spesso simbolo di Israele (cf. Is 5,1-7), ma una vite che non produceva frutti. Gesù si presenta come la vite fedele, che realizza pienamente il progetto di Dio. Dio Padre è colui che cura, pota, veglia sulla crescita della vite. L’immagine è intensa e familiare: Dio non è lontano, ma coinvolto nella vita del credente, come un contadino che ama il proprio campo. Le potature possono sembrare dure, ma sono segni di amore, affinché si porti frutto. Il verbo “rimanere” ricorre molte volte nel brano, è l’imperativo del discepolo. Non si tratta di un sentimento passeggero, ma di una relazione stabile, continua, vitale. Il discepolo non può vivere di rendita, né da solo: ha bisogno di restare unito a Cristo, come il tralcio alla vite. Gesù non dice: “Potete fare poco”, ma “nulla”. È una parola forte, che ci mette di fronte alla verità della fede cristiana: ogni frutto buono, ogni opera autentica, ogni gesto di carità nasce dalla comunione con Lui. Il discepolo non è un volontario generoso, ma unito alla fonte della vita. Il tralcio che si separa dalla vite perde la linfa e si secca. Non si tratta di una minaccia, ma di una constatazione naturale: separarsi da Cristo significa smarrire il senso, la forza, la speranza. È un invito a vigilare sulla nostra relazione con Lui, perché può inaridirsi senza che ce ne accorgiamo. Il segno del discepolo non è il successo, ma la fecondità. Il “frutto” nel Vangelo di Giovanni indica l’amore, la fede, la gioia, la missione. Il discepolo è chiamato a una vita che trabocca di bene, non per sé, ma per la gloria del Padre. Giovanni 15,1-8 è un invito forte alla comunione con Cristo, come condizione indispensabile per una vita cristiana feconda. È un appello a rimanere: nella preghiera, nella Parola, nell’amore. Solo uniti a Lui possiamo portare il frutto che glorifica Dio e rende autentica la nostra testimonianza (Don Gian Franco Poli).